Attenzione: post ad alto contenuto di Lisaggine. Potrebbe provocare effetti collaterali come i preservativi alla benzocaina, tra cui ricordiamo labbra blu, crisi respiratorie, shock allergici.
Tutto iniziò il giorno della fine del mondo.
Era il 21 dicembre 2012.
Giacobbo aveva guadagnato diversi milioni di euro speculando su quella
che sarà in eterno ricordata come la miglior bufala del terzo millennio, mentre io, con un preavviso di due giorni, scoprivo direttive che ci volevano tutti in ferie fino al 7 gennaio.
L’ultima
volta che sono stata in ferie per diciassette giorni filati, avevo tredici anni.
Primo giorno di vacanza: dopo aver riordinato i maglioni per colore e fatto un bagno
di due ore, mi ero infine decisa a prendermi avanti con i propositi del nuovo
anno.
Armata di carta e penna, iniziavo ad arrovellarmi su quali aspetti
fondamentali della vita avrei dovuto comprendere nel corso del 2013, considerando
anche che, se il mondo non era effettivamente finito, stavolta avrei dovuto
impegnarmi più del solito per mantenere i miei propositi.
Una specie di tributo al buon senso, con buona pace di Giacobbo.
Ricapitolando, i punti fondamentali di questo nuovo anno sarebbero
stati:
- comprendere la fondamentale differenza esistente tra una legittima e
sacra indignazione e la sindrome premestruale;
- comprendere perché buona parte del kama sutra insegna a produrre diverse escoriazioni sul corpo dell’amante,
se del caso anche utilizzando oggetti acuminati (?!) e, frattanto, sospendere
ogni sperimentazione esotica nella stanza da letto;
- comprendere come ho potuto pensare, andando in montagna, di aver
dimenticato la pinzetta per le sopracciglia, quando in realtà avevo dimenticato
le chiavi dell’appartamento;
- imparare a percepire nettamente e con largo anticipo se la tavoletta
del water è alzata;
- ma, specialmente, sostituire l’espressione “vaffanculo” con la più
diplomatica “of course”.
In quel preciso momento, avevo l’occasione perfetta per mettere in
pratica le riflessioni appena scritte nero su bianco: qualcuno suonava il
campanello.
Of course.
Munita di una buona dose di terrore mi avvicinavo alla porta, tremando al pensiero che un folletto maligno fosse venuto ad vvisarmi che le ferie erano revocate.
Già pronta a fingere tremendi
crampi allo stomaco e febbre a 39, sbiancavo vedendo Isabella, la mia amica
d’infanzia, che in teoria doveva essere in Vietnam a fare l’insegnante
d’inglese per un anno.
La fanciulla era partita sei mesi prima, considerando il fatto che in Italia, quest'anno, "non si sarebbe persa molto".
“Sorpresaaaa!!!”
Premetto che nessuna di noi due è una decerebrata da telefilm che si
mette a urlare, saltare e piagnucolare di fronte all’amica ritrovata… siamo due nordiche purosangue e, quando ci si ritrova dopo molto tempo, non si grida: si
beve.
In cucina, sorseggiando la bevanda degli Dei, vedevo negli occhi della
mia amica la nostalgia per la patria perduta. Mi sembrava, in fondo, di
rivedere l’addio monti del Manzoni passare riga dopo riga sul suo viso, mentre
si riadattava al consumismo cittadino e alla quantità di profumi che puoi
trovare in un supermercato.
“Allora, non ti sei pentita di essere andata via?”
“Non credo di perdermi molto, durante quest’anno…
non sento altro, dalle amiche, che racconti sul fatto che non vengono pagate o
vengono lasciate a casa dal lavoro per lo stagista di turno. In Vietnam,
invece, devo solo pensare a dove andare in vacanza per il week end o per il
Capodanno cinese”.
In effetti…
“Beh, e racconta… hai trovato qualcuno, lì, in questi sei mesi?”
Pessima domanda.
“Non riesco davvero a spiegarmi
come io possa essere stata così stupida da non prendere in considerazione,
prima di partire, che andavo in un Paese in cui il turismo sessuale è alle
stelle: se contavo sul mio fascino italiano, lì ho scoperto che ogni essere maschile occidentale in
vacanza è lì per le vietnamite, questa strana razza di donne dai capelli
corvini, lunghissimi, setosi, corpi da favola, tutte esperte nei massaggi e con
gli occhi dalle mille e una notte”.
L’incubo di ogni donna, quasi quanto vivere a Milano e vedersi
precedere per strada da adolescenti anoressiche che danzano su quindici
centimetri di tacchi.
Seguiva il racconto sulle disgrazie di una donna occidentale che tenta
di rimorchiare un londinese o – alla peggio – un americano ad Hanoi. Non c'era verso. Concorrenza infame.
Le maledette vietnamite erano una razza subdola, mutazione genetica dell'essere femminile in grado di togliersi il casco, una
volta scese dal motorino (che guidavano per ore con trentasei gradi e un’umidità
del novanta percento), e agitare questi capelli perfetti e profumati di fiori,
col trucco intatto. Ma vaffanculo, razza di scherzo della natura!
Inutile dire che Isabella, togliendo il casco, come tutte le donne normali, era semplicemente una maschera di sudore. Del trucco, neanche a parlarne. Senza contare che i
poveri capelli biondi della mia amica non potevano nulla di fronte a quelle
sventole esotiche dalle chiome corvine. Anche perché lei, i capelli, se li
ritrovava sempre schiacciati e umidicci.
L'inferno del rimorchio.
E loro, coi loro fisici minuti, una seconda di bronzee tettine all'insù, nessun pelo pur essendo more, si portavano a casa i manzi migliori, senza muovere un dito, e nel giro di pochi mesi riuscivano pure a sposarseli con cerimonia tradizionale.
Dopo sforzi titanici per essere brillante, simpatica e interessante, Isabella era però riuscita, poco prima del suo ritorno in Italia, ad accaparrarsi un giovane londinese di 24 anni.
Apriti cielo.
Neanche a dirlo, quando tutto sembrava iniziare a filare per il verso giusto, al suo ritorno in Italia, aveva invece trovato quello che si definisce “l’uomo perfetto”.
Abitava da anni a pochi chilometri da casa sua, ma non l’aveva
mai visto.
Colpo di fulmine, si chiama.
Ricambiato, oltretutto.
Due bicchieri dopo mi stava ancora decantando le doti del soggetto in questione.
Ricambiato, oltretutto.
Due bicchieri dopo mi stava ancora decantando le doti del soggetto in questione.
“Solo una cosa mi lascia perplessa: mi ha proposto una vacanza
insieme, per rivedermi quando sarò tornata ad Hanoi. Parla già del fatto che
prenderà due settimane di ferie per venire da me in Vietnam”.
“Mi sfugge quale sia il problema”.
“Mi terrorizza. E so che mi capisci”.
Riepiloghiamo le inconsce paure femminili.
Il male del nostro secolo: appena qualcosa inizia ad andare per il
verso giusto con un uomo, ti viene la nausea e inizi a scalciare come un
cavallo imbizzarrito per i tuoni.
Succede, in parole povere, che ricordi all’improvviso quanta fatica
hai fatto per imparare a stare sola e a non scendere a compromessi con un uomo
che, simile a un gatto, ama il tuo divano più di quanto ami te. Ricordi
all’improvviso in quale strana creatura isterica puoi trasformarti quando, dopo
aver lavorato tutto il giorno in qualche luogo frustrante, torni a casa e trovi
una scena da “2001: Odissea nello spazio”,
con il tuo uomo attonito davanti al microonde come una scimmia davanti al
monolite di Kubrick: è allora che varchi la soglia trafelata, appena in tempo
per evitare che la scimmia rompa il marchingegno infernale con la tibia di un Mammut.
In quei momenti decidi di metterti ai fornelli, solo per scoprire che
il frigo è vuoto perché lui si è dimenticato di avvisarti che, causa urgenze
dell’ultima ora, non ha fatto la spesa. Nella tua mente, aleggia il dubbio che
l’urgenza fosse la partita dell’Inter, e l’istinto omicida serpeggia.
E pensare che l’avere trovato un uomo perfetto sulla carta ti aveva
fatto pensare, per qualche attimo, che ti trovassi nel migliore dei mondi
possibili!
È stato in quel momento che l’empatia per il terrore di Isabella sul
“migliore dei mondi possibili” ha fatto nascere la domanda, come in
un’intuizione improvvisa: quando abbiamo smesso di credere che meritiamo un
uomo capace di fare follie per noi e che magari, stavolta, andrà tutto bene?
Ma il prolema era ben più grande: una volta deciso di affrontare faccia a faccia il terrore del principe azzurro che, dopo quattro giorni in tua compagnia, investiva migliaia di euro per venire in Vietnam a trovarti, bisognava capire come rinunciare al compagno di giochi londinese in Vietnam, e affrontare altri sei mesi di castità forzata. Robe da matti, dopo tutta la fatica fatta per trovarsi un trombamico!
"Insomma, solo perché ho passato con lui quattro giorni splendidi, adesso non posso mica stare qua ad aspettarlo sei mesi come una martire!"
Benedetta amica mia, quanto sei saggia!
"Beh... c'è una sola cosa da fare, cara: diglielo solo fra molti anni."
Morale della favola: sperare in un mondo migliore è terapeutico ma, come in tutte le cose, la moderazione è cosa saggia.
Morale della favola: sperare in un mondo migliore è terapeutico ma, come in tutte le cose, la moderazione è cosa saggia.
Auguriamo tutti buona vacanza a Isabella che, dopo un week end col londinese, parte domani col principe azzurro per due settimane di ferie!
E, naturalmente, glielo dirà. Tra qualche anno.
no, cmq, io punto sull'inglesino....
RispondiEliminaahiahiahi... pare che l'inglesino sia stato quasi-scaricato dopo la settimana di vacanza!!! :S
Eliminaio punto su un clamoroso ridimensionamento del principe azzurro, già in queste due settimane di ferie.
RispondiElimina(comunque, cara lisa, le partite dell'inter di quest'anno non passano alla voce "urgenza". ahimè)
idem come sopra U_U
Eliminale partite dell'inter non sono mai un'urgenza ;)
Lisa sei un diavolo!
RispondiElimina:-)
ele, ma il tuo blog?! che razza di musi ispiratori siamo io e metiu se non ci scrivi da giugno...? :P
EliminaHai ragione Lisa, ma non riesco a fare la stessa cosa per più di una settimana di fila!
EliminaLeggo voi, è molto meglio ;)
premio per te su mio blog
RispondiEliminaullallà... preparo l'intervista col vampiro ;)
Eliminagrazie!!!
lisa.
RispondiEliminadove.
cazzo.
sei.
finita?
;)
in ospedale! O_o'
EliminaO_o'
Elimina(ci dobbiamo preoccupare? no, vero?, vero? ..)