giovedì 31 gennaio 2013

donne ad Hanoi e propositi per il nuovo anno


Attenzione: post ad alto contenuto di Lisaggine. Potrebbe provocare effetti collaterali come i preservativi alla benzocaina, tra cui ricordiamo labbra blu, crisi respiratorie, shock allergici.

Tutto iniziò il giorno della fine del mondo.
Era il 21 dicembre 2012.
Giacobbo aveva guadagnato diversi milioni di euro speculando su quella che sarà in eterno ricordata come la miglior bufala del terzo millennio, mentre io, con un preavviso di due giorni, scoprivo direttive che ci volevano tutti in ferie fino al 7 gennaio.
L’ultima volta che sono stata in ferie per diciassette giorni filati, avevo tredici anni.
Primo giorno di vacanza: dopo aver riordinato i maglioni per colore e fatto un bagno di due ore, mi ero infine decisa a prendermi avanti con i propositi del nuovo anno. 
Armata di carta e penna, iniziavo ad arrovellarmi su quali aspetti fondamentali della vita avrei dovuto comprendere nel corso del 2013, considerando anche che, se il mondo non era effettivamente finito, stavolta avrei dovuto impegnarmi più del solito per mantenere i miei propositi.
Una specie di tributo al buon senso, con buona pace di Giacobbo.

Ricapitolando, i punti fondamentali di questo nuovo anno sarebbero stati:
- comprendere la fondamentale differenza esistente tra una legittima e sacra indignazione e la sindrome premestruale;
- comprendere perché buona parte del kama sutra insegna a produrre diverse escoriazioni sul corpo dell’amante, se del caso anche utilizzando oggetti acuminati (?!) e, frattanto, sospendere ogni sperimentazione esotica nella stanza da letto;
- comprendere come ho potuto pensare, andando in montagna, di aver dimenticato la pinzetta per le sopracciglia, quando in realtà avevo dimenticato le chiavi dell’appartamento;
- imparare a percepire nettamente e con largo anticipo se la tavoletta del water è alzata;
- ma, specialmente, sostituire l’espressione “vaffanculo” con la più diplomatica “of course”.
In quel preciso momento, avevo l’occasione perfetta per mettere in pratica le riflessioni appena scritte nero su bianco: qualcuno suonava il campanello.
Of course.
Munita di una buona dose di terrore mi avvicinavo alla porta, tremando al pensiero che un folletto maligno fosse venuto ad vvisarmi che le ferie erano revocate.
Già pronta a fingere tremendi crampi allo stomaco e febbre a 39, sbiancavo vedendo Isabella, la mia amica d’infanzia, che in teoria doveva essere in Vietnam a fare l’insegnante d’inglese per un anno.
La fanciulla era partita sei mesi prima, considerando il fatto che in Italia, quest'anno, "non si sarebbe persa molto".

“Sorpresaaaa!!!”

Premetto che nessuna di noi due è una decerebrata da telefilm che si mette a urlare, saltare e piagnucolare di fronte all’amica ritrovata… siamo due nordiche purosangue e, quando ci si ritrova dopo molto tempo, non si grida: si beve.
In cucina, sorseggiando la bevanda degli Dei, vedevo negli occhi della mia amica la nostalgia per la patria perduta. Mi sembrava, in fondo, di rivedere l’addio monti del Manzoni passare riga dopo riga sul suo viso, mentre si riadattava al consumismo cittadino e alla quantità di profumi che puoi trovare in un supermercato.
“Allora, non ti sei pentita di essere andata via?”
“Non credo di perdermi molto, durante quest’anno… non sento altro, dalle amiche, che racconti sul fatto che non vengono pagate o vengono lasciate a casa dal lavoro per lo stagista di turno. In Vietnam, invece, devo solo pensare a dove andare in vacanza per il week end o per il Capodanno cinese”.
In effetti…
“Beh, e racconta… hai trovato qualcuno, lì, in questi sei mesi?”
Pessima domanda.
“Non riesco davvero a spiegarmi come io possa essere stata così stupida da non prendere in considerazione, prima di partire, che andavo in un Paese in cui il turismo sessuale è alle stelle: se contavo sul mio fascino italiano, lì ho scoperto che ogni essere maschile occidentale in vacanza è lì per le vietnamite, questa strana razza di donne dai capelli corvini, lunghissimi, setosi, corpi da favola, tutte esperte nei massaggi e con gli occhi dalle mille e una notte”.
L’incubo di ogni donna, quasi quanto vivere a Milano e vedersi precedere per strada da adolescenti anoressiche che danzano su quindici centimetri di tacchi.
Seguiva il racconto sulle disgrazie di una donna occidentale che tenta di rimorchiare un londinese o – alla peggio – un americano ad Hanoi. Non c'era verso. Concorrenza infame.
Le maledette vietnamite erano una razza subdola, mutazione genetica dell'essere femminile in grado di togliersi il casco, una volta scese dal motorino (che guidavano per ore con trentasei gradi e un’umidità del novanta percento), e agitare questi capelli perfetti e profumati di fiori, col trucco intatto. Ma vaffanculo, razza di scherzo della natura!
Inutile dire che Isabella, togliendo il casco, come tutte le donne normali, era semplicemente una maschera di sudore. Del trucco, neanche a parlarne. Senza contare che i poveri capelli biondi della mia amica non potevano nulla di fronte a quelle sventole esotiche dalle chiome corvine. Anche perché lei, i capelli, se li ritrovava sempre schiacciati e umidicci.
L'inferno del rimorchio.
E loro, coi loro fisici minuti, una seconda di bronzee tettine all'insù, nessun pelo pur essendo more, si portavano a casa i manzi migliori, senza muovere un dito, e nel giro di pochi mesi riuscivano pure a sposarseli con cerimonia tradizionale.
Dopo sforzi titanici per essere brillante, simpatica e interessante, Isabella era però riuscita, poco prima del suo ritorno in Italia, ad accaparrarsi un giovane londinese di 24 anni. 
Apriti  cielo.
Neanche a dirlo, quando tutto sembrava iniziare a filare per il verso giusto, al suo ritorno in Italia, aveva invece trovato quello che si definisce “l’uomo perfetto”.
Abitava da anni a pochi chilometri da casa sua, ma non l’aveva mai visto.
Colpo di fulmine, si chiama.
Ricambiato, oltretutto.
Due bicchieri dopo mi stava ancora decantando le doti del soggetto in questione.
“Solo una cosa mi lascia perplessa: mi ha proposto una vacanza insieme, per rivedermi quando sarò tornata ad Hanoi. Parla già del fatto che prenderà due settimane di ferie per venire da me in Vietnam”.

“Mi sfugge quale sia il problema”.
“Mi terrorizza. E so che mi capisci”.

Come, non capisco!? Ho aperto un blog apposta!
Riepiloghiamo le inconsce paure femminili.
Il male del nostro secolo: appena qualcosa inizia ad andare per il verso giusto con un uomo, ti viene la nausea e inizi a scalciare come un cavallo imbizzarrito per i tuoni.
Succede, in parole povere, che ricordi all’improvviso quanta fatica hai fatto per imparare a stare sola e a non scendere a compromessi con un uomo che, simile a un gatto, ama il tuo divano più di quanto ami te. Ricordi all’improvviso in quale strana creatura isterica puoi trasformarti quando, dopo aver lavorato tutto il giorno in qualche luogo frustrante, torni a casa e trovi una scena da “2001: Odissea nello spazio”, con il tuo uomo attonito davanti al microonde come una scimmia davanti al monolite di Kubrick: è allora che varchi la soglia trafelata, appena in tempo per evitare che la scimmia rompa il marchingegno infernale con la tibia di un Mammut.
In quei momenti decidi di metterti ai fornelli, solo per scoprire che il frigo è vuoto perché lui si è dimenticato di avvisarti che, causa urgenze dell’ultima ora, non ha fatto la spesa. Nella tua mente, aleggia il dubbio che l’urgenza fosse la partita dell’Inter, e l’istinto omicida serpeggia.
E pensare che l’avere trovato un uomo perfetto sulla carta ti aveva fatto pensare, per qualche attimo, che ti trovassi nel migliore dei mondi possibili!
È stato in quel momento che l’empatia per il terrore di Isabella sul “migliore dei mondi possibili” ha fatto nascere la domanda, come in un’intuizione improvvisa: quando abbiamo smesso di credere che meritiamo un uomo capace di fare follie per noi e che magari, stavolta, andrà tutto bene?

Ma il prolema era ben più grande: una volta deciso di affrontare faccia a faccia il terrore del principe azzurro che, dopo quattro giorni in tua compagnia, investiva migliaia di euro per venire in Vietnam a trovarti, bisognava capire come rinunciare al compagno di giochi londinese in Vietnam, e affrontare altri sei mesi di castità forzata. Robe da matti, dopo tutta la fatica fatta per trovarsi un trombamico!

"Insomma, solo perché ho passato con lui quattro giorni splendidi, adesso non posso mica stare qua ad aspettarlo sei mesi come una martire!"
Benedetta amica mia, quanto sei saggia!
"Beh... c'è una sola cosa da fare, cara: diglielo solo fra molti anni."

Morale della favola: sperare in un mondo migliore è terapeutico ma, come in tutte le cose, la moderazione è cosa saggia.

Auguriamo tutti buona vacanza a Isabella che, dopo un week end col londinese, parte domani col principe azzurro per due settimane di ferie!
E, naturalmente, glielo dirà. Tra qualche anno.

martedì 8 gennaio 2013

stranezze delle donne - i nuovi mostri

22 dicembre. Partenza per la montagna. Io e il manzo (Johnny) in assetto da guerra, pronti a 17 giorni di ferie. Probabilmente non succedeva dalle vacanze di terza elementare.
Durante il tragitto, sento di essermi dimenticata qualcosa. Ripercorro mentalmente la valigia due o tre volte, finché si accende il campanello: il latte detergente!
Niente di grave, insomma.
Arriviamo sotto casa.
Ore 20:30. 15 cm di neve fresca per terra.
Ci organizziamo nel seguente modo: io schizzo in caldaia ad accendere riscaldamento e acqua. Lui schizza di sopra con le valigie e alza i termostati.

Ecco. E' in quei momenti che vorresti morire.
Sgrano gli occhi.
"Amore..."
"Dimmi... hai freddo?"
"...le chiavi"

Johnny attende, con un sorriso a metà, che io gli dica che sto scherzando.
Non scherzo.
Altro che latte detergente: le chiavi.

Morale: torniamo a casa a prendere le chiavi e ritorniamo in montagna, cantando e ridendo per tutto il viaggio. Facciamo anche una sosta da bravi piccioncini i cui particolari vi risparmio. Si chiama prendere le cose con filosofia.
Arriviamo verso le due di notte. La casa è congelata.
Direttamente dal diario di bordo della prima sera di vacanza, la seguente diapositiva: io e Johnny congelati intorno ai fornelli accesi, giubbotti addosso, davanti a un pentolino di vin brulé che bolle. Praticamente due barboni a New York che si scaldano col fuoco nei bidoni.

28 dicembre. Partenza per la puglia.
Sono sicura di avere dimenticato qualcosa.
Arriviamo davanti alla casa.
"Amore..."
"Lisa... a tornare indietro da qui sono otto ore"
"Ma no, dai! Ho dimenticato lo spumante per Capodanno!"
Sospira di sollievo: "domani ne prendo otto bottiglie."

Buon anno a tutti e a presto con nuovi aneddoti.
E voi? Dimenticato qualcosa dalla valigia? ;)

P.S.: il pittore pazzo mi ha mandato gli sms di auguri per Natale, Capodanno e Befana firmandosi "COSI'TIVEDO".
Stasera forse lo incrocio dalla dea. Potrei decidere di spezzargli le braccia o di tagliargli un tendine con delle forchettine colorate da olive ascolane.